Di seguito riporto un articolo dal sito blog.ilgiornale.it a mio avviso estremamente interessante (LINK)
Nessuna giustificazione. I tuoi figli saltano scuola perchè vanno ai
campionati italiani giovanili di triathlon a Caorle? Nessuna
giustificazione: assenti. Assenti come se fossero stati indisposti, se
avessero perso il bus o se avessero “bigiato” per andare a giocare a
biliardino al bar. Per la scuola italiana lo sport non esiste, altro
che portare crediti come succede negli istituti statunitensi e di mezza
Europa dove gli studenti-atleti che portano prestigio vengono tenuti in
palmo di mano. Da noi no. Da noi il lunedì dopo la gara, molto spesso
ci sono una verifica o un’interrogazione in agguato. E così siamo al
palo. Ma non è un fatto di medaglie. “Le famiglie hanno troppe
aspettative rispetto ai risultati sportivi dei figli. Vivono la palestra
o la piscina al pari di un servizio di babysitteraggio. E la scuola,
dal canto suo, spesso non se ne occupa: quanti sono gli insegnanti che
sanno che sport praticano i loro allievi? Quanti quelli che puniscono
gli studenti atleti con un’interrogazione di lunedì mattina pur sapendo
che hanno passato il fine settimana ad allenarsi o gareggiare? Senza
contare che anche tra gli allenatori c’è chi spinge troppo sul risultato
e poco sulla crescita psico-fisica dei ragazzi…”. Tutto vero. Nel
triangolo insegnanti, genitori, allenatori spesso gli angoli non si
chiudono. E Francesca Vitali, presidente nazionale
dell’Associazione italiana psicologia dello sport (A.I.P.S.) e docente
all’Università di Verona, lo spiega bene in una sua intervista sul sito
Emiliaromagnamamma.it. Un paio di dati su cui riflettere. Nel nostro
Paese fanno sport sei ragazzi su dieci (in Europa nove su dieci) e
l’abbandono delle attività sportive da parte dei giovani tra i 12 e 14
anni è di uno su dieci. La causa è nota: insegnanti e genitori, ma anche
molti allenatori che non capiscono la differenza tra attività sportiva
ed agonismo, non comprendono il valore dello sport. Che è innanzitutto
cultura. Che è bagaglio che permette ai ragazzi di trasferire
esperienze fondamentali nella vita di tutti i giorni come la capacità di
sapersi programmare, organizzare, di sapere gestire le emozioni, di
raggiungere gli obbiettivi. Permette di capire qual è il senso del
lavoro: nello sport se uno si allena ottiene risultati così come a
scuola se uno studia prende buoni voti. Infine lo sport spiega ai
giovani che si può vincere ma si può anche perdere, che la sconfitta non
è un dramma, anzi un punto da cui ripartire. Non poco. “Molti
abbandonano per il poco tempo, la poca motivazione, la difficoltà di
conciliare studio e sport- spiega Vitali- Ma i motivi sono più profondi
. Troppo spesso ai ragazzi si chiede di vincere, di avere una
prestazione eccellente. L’enfasi è sulla competizione, sul risultato,
quando invece dovrebbe essere sul sostegno all’impegno. Inoltre il
movimento regolare produce connessioni sinapsiche migliori nei lobi
frontali. I ragazzi che si muovono, dunque, studiano in tempi più brevi,
organizzano con più efficacia il proprio tempo, conciliano e
organizzano gli impegni con più facilità. “. La doppia carriera
scuola-attività sportiva quindi va sostenuta. Certo servirebbe che
molti “prof” si rendessero conto che uno studente che magari un giorno
non è brillantssimo perchè si è allenato non è un “lazzarone” da
punire. Servirebbe che Ministero, Provveditorati, Federazioni, dalla
Fitri alla Fidal ma tutte quante, cominciassero a parlarsi. Quantomeno
per capire che c’è un mondo che studia ma ce n’è anche un altro che si
allena e gareggia. E non sono due cose diverse e distanti…

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